martedì 9 luglio 2013

Nel Paese del Poster Selvaggio


Il 12 Novembre 2002 è una data da ricordare per gli amanti del rock poster.
Gli Stati Uniti presentano al mondo l'American Poster Insitute, associazione no-profit tesa a promuovere la grafica da concerto: indubbiamente uno dono splendido.
Ed era anche ora che qualcosa del genere accadesse: dagli anni Cinquanta in poi, l'intero pianeta ha sfornato artisti di altissimo livello che, nascosti dietro le punte dei loro pennarelli, si sono occupati dell'immagine di rock bands celeberrime.

Maurice Sendak, Nel paese dei mostri selvaggi.
Poster per Sasquatch! Music Festival, di Invisible Creature .

Nel 2000, l'esplosione è stata forte: si è perso il conto degli studi grafici legati all'ambiente musicale, e rock poster è diventata una vera e propria parola d'ordine.
Non sono solo rose e fiori, però.
Se avete letto Nel paese dei mostri selvaggi (Where the Wild Things Are) non vi sarà difficile giocare alle differenze con il poster realizzato dalla Invisible Creature per il Sasquatch! Music Festival di Seattle: una parata di mostriciattoli dal chiaro sapore vintage.

Manifesto per il film Goodfellas, di Methane Studios.
Caso analogo è il manifesto a opera del Methane Studios, agenzia grafica di Atlanta fondata da Robert Lee e Mark McDevitt, molto Vertigo, di Saul Bass.
A parte il gusto, ciò che accomuna questi grandi nomi è il periodo storico: quello a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta che tante cose belle ha graficamente regalato al mondo.
Un momento in cui l'arte ha dettato il carattere di un paese.
Un momento che sembra ritornare, prepotentemente.
È chiaro che un recupero così radicale, così evidente e sfacciato, indichi in qualche modo una perdita di coscienza. Codici precisi, come geometrie, palette di colori e sintesi, vengono ripescate dal passato e riadattate in favore di un pubblico moderno.
Se per un verso è bello vedere che i giovani rendano onore alla storia, da Ikko Tanaka  a Milton Glaser, per l'altro si ha la sensazione che Jeff Kleinsmith non possa vivere senza Paul Rand.

Manifesto per il film Vertigo, di Saul Bass, 1958.
Quando ho realizzato questo pensiero ho subito pensato a una crisi, e al fatto che le giovani menti non sappiano fare altro che appoggiarsi a un rimando sicuro. Che sia molto più semplice chiamare a carico di certi destinatari e trafugare la loro maestria, piuttosto che spaccarsi la testa per trovare una chiave di lettura al passo coi tempi.
Così ho posto qualche domanda. Ho chiesto un parere a Dan Kuhlken, co-fondatore del DKNG Studios, classe 2005.
La sua creatura, fondata assieme a Nathan Goldman, è un ottimo esempio. Un progetto giovane, ma già di grandissimo successo, e poster all'attivo per Eric Clapton, Dave Matthews Band, Bon Iver, Jack White e molti altri ancora.
Dan è un professionista, grande appassionato dell'epoca d'oro della grafica americana, ma con i piedi radicati nel presente: il nostro uomo.


Manifesto di Jeff Kleinsmith.
Ho avuto il piacere e il privilegio di intervistarlo, e ho sollevato il problema. Mi ha risposto che per lui vintage è un altro modo per dire 'classico':

Se si crea un classico, sia esso una perfetta canzone pop o un inimitabile rock poster, non si può sbagliare. Il classico resiste alle mode e – attenta osservazione – non ha tempo.
Non si deve avere paura del proprio passato, è ciò che siamo.
L'unica attenzione è quella relativa all'elaborazione – altro tasto dolente – ossia creare effetti piacevolmente d'altri tempi, granulosi e materici, con filtri preimpostati al computer.

Bisogna giocare anche con questo e, sfruttando la macchina, creare pattern e fantasie paradossali, che facciano capire quanto distacco c'è

Copertina per Idea magazine, Paul Rand, 1984.
dagli anni Cinquanta ad oggi, e che noi operiamo nel presente e non nel passato
Il che è vero, naturalmente. Gli ultimi vent'anni di
grafica da concerto hanno girato a loro favore lo smarrimento, elaborando prodotti evergreen e riscoprendo il nobile studio della tipografia.
È una maniera per esprimere gratitudine al passato e per celebrare il presente con altrettanta arguzia di sintesi e stile.
Vista così, la faccenda mi pare meno preoccupante, e la comprendo molto meglio.
Un prodotto classico entra di diritto nell'immaginario universale, e diventa un valido modo per pensare a come eravamo. Grazie, Dan.

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