lunedì 10 giugno 2013

Fumetto, fiaba e rock'n roll

Salomè, Aubrey Beardsley
[di Martina Esposito]

Era il 1967 quando la BBC commissionò all'autore Terry Jones un programma per bambini.
Il registro dei testi necessitava di una forte figuratività così, su consiglio dell'amico John Cleese,
venne coinvolto Terry Gilliam, animatore americano tra i più freak che il momento potesse offrire.
Il risultato fu uno spettacolo di successo che però si rivolse presto a un pubblico adulto.
In compenso, le brillanti menti dei tre si unirono a quelle altrettanto acute di Eric Idle, Michael
Palin e Graham Chapman, quindi ai futuri Monty Python, uno dei gruppi comici più dissacranti mai esistiti.
Questo per dire che l'immaginario infantile ha sempre fatto significativamente crescere gli uomini.

Michael English, Nigel Wymouth, poster per Ufo Club.
La Gran Bretagna ne è un ottimo esempio: basti pensare a spiriti, gnomi e fate. Non quelli immortalati da Edmund Dulac e da Arthur Rackham, quanto da Michael English e Nigel Wymouth.
Chiunque fosse stato appassionato di musica negli anni Sessanta non si sarà fatto certo sfuggire le strepitose locandine realizzate dai due sotto il nome Hapshash and the Coloured Coat per Pink Floyd, Jimi Hendrix e molti altri ancora.
Che la psichedelia anglosassone si nutra di mostri sacri dell'illustrazione non è certo un mistero
poiché, in fin dei conti, le muse a promozione dei locali londinesi non differiscono tanto dalla Salomè di Aubrey Beardsley. Basti guardare il poster realizzato dal duo per l'Ufo Club di Londra a metà anni Sessanta: una donna alata che traina in cielo un castello incantato, attraversando un tramonto di stelle cadenti.
La Sirenetta, Edmund Dulac

Simile, in parte, alla dolcissima Sirenetta interpretata da Dulac per Storie da Hans Christian Andersen, che fluttua nel medesimo spazio rarefatto.
C'è da chiedersi cosa abbia spinto i favolosi Sixties al recupero di tali influenze.
Cosa accadrebbe a un ragazzino se cadesse in un burrone? E se entrasse all'Ufo Club? La medesima cosa, probabilmente.
Sir John Tenniel ha saputo disegnare meglio di chiunque altro la storia di Alice e la sua disperata ricerca di sè. Bene: non c'è autore migliore di Lewis Carroll per spiegare la foga degli anni Sessanta. Una vera e propria iniziazione alla musica, all'arte e alla conoscenza.
Un tuffo a occhi chiusi nella tana del Bianconiglio.

Tales from the Tube, Rick Griffin
Al contempo, negli Stati Uniti si vive di comics. Si mangia Marvel a colazione, e Jack Kirby, Stan Lee o Steve Ditko sono la punta di
un iceberg ben più grosso, pronto a sgretolarsi in una miriade di super eroi.
Rick Griffin, uno dei più autorevoli poster artists di sempre, è inizialmente un fumettista. Solo successivamente decide di fondere la passione musicale a quella artistica, sconvolgendo  il mondo della grafica da manifesto. Il suo segno in Tales from the Tube è già potente e sanguigno, un appunto preso dai grandi del fumetto; nel momento in cui pensa al poster, Griffin non si snatura.

Marvel, The Incredible Hulk.
La composizione in bianco e nero elaborata per la locandina dei Jook Savages (rock band in cui militava), è una perfetta orchestrazione di caratteri e linee; il testo assume forma fondendosi all'illustrazione e diventando, anzi, illustrazione stessa.
È chiaro che il codice del fumetto sia opposto a quello della Golden Age  dell'illustrazione: se l'America parla il nuovo linguaggio underground, l'Europa si ritrova a fare i conti con la sua
secolare storia dell'arte.
"Da grandi poteri derivano grandi responsabilità", diceva Spider Man. E da grandi artisti derivano grandi eredità: da Kay Nielsen ad Alphonse Mucha, da Walter Crane a William Blake.
Locandina per i Jook Savages, Rick Griffin.

Gli Stati Uniti creano sul momento un'arte che l'Europa è abituata a metabolizzare da tempo, con pro e contro. L'idea di avere avuto dei maestri è, sì, un peso, ma sopratutto una base solida; mentre l'avventura degli Stati Uniti rischia di essere un azzardo come un bingo.
Sta di fatto che il rock poster promette sensazioni estreme; paradossale che per evocarle si serva di semplice fumetto e illustrazione. In buona sostanza, si torna piccini per raccontare cose grandi.
Forse perché seguire il Bianconiglio è davvero il solo modo per trovare se stessi; forse perché in poche strisce di fumetto c'è la verità sufficiente per affrontare il mondo.
O forse perché, molto più semplicemente, si è sempre bambini quando si scopre qualcosa per la
prima volta.

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