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martedì 7 maggio 2013

Si può non

Negli ultimi decenni, al progressivo deteriorarsi dell'autorità genitoriale si è accompagnato il prosperare di una vera e propria cuccagna manualistica finalizzata a insegnare a padri e madri l'importanza dell'impartire regole, divieti e sanzioni ai propri figli: dal celebre I no che aiutano a crescere a Digli di no. Fallo per lui!, da Se mi vuoi bene, dimmi no a Le regole che fanno crescere a I sì che aiutano a crescere a I bambini hanno bisogno di regole ecc. L'impressione generale, in tutto questo, guardandosi intorno, e al di là di quanti sì e no ai bambini debbano essere, giustamente, detti, è che gli adulti, in generale, abbiano idee molto confuse in merito a cosa sia una regola e a cosa serva, a cosa significhino autonomia, libertà e responsabilità.
La questione non è banale: andando al nocciolo, non si tratta di stabilire formule magiche che facciano sopravvivere alla minore età delle nuove generazioni, ma di riflettere su diritti e doveri, giusto e sbagliato, rispetto di sé e del prossimo, libertà, capacità di operare scelte, relazione fra collettività e individuo.

In una parola, la questione in ballo è quella, niente meno, del libero arbitrio che è alla base dell'etica. Ed è per questo che i manuali, seppur spavaldamente fiduciosi nel potere dell'individuo di costruire se stesso come un mobiletto dell'Ikea (con un incomprensibile libretto di istruzioni in dodici lingue), a volte danno l'impressione di avere una funzione più tranquillizzante che sostanziale, lasciando grandi e piccoli, genitori e figli in balia di questioni fondamentalmente irrisolte, e in una confusione che anche semplicemente nella vita di tutti i giorni può avere conseguenze significative.
Per non sottovalutare la portata del problema e la qualità delle risposte, varrebbe sempre la pena ricordare che sono più di diecimila anni che gli esseri umani, attraverso filosofie, religioni, scienze e letterature, ci discutono su e continuano a farlo tutt'ora. Perché di una cosa possiamo essere certi: non ci sono risultati acquisiti definitivamente in questo ambito: la storia non ci garantisce niente, è un flusso di eventi in continuo cambiamento in cui tutto è costantemente rimesso in discussione, e per questo l'eredità culturale da una generazione all'altra va rinnovata e ricostruita costantemente, pena il suo decadimento.


Detto questo, per non perdersi d'animo di fronte a questioni tanto complesse, va considerato che se il problema del libero arbitrio è un problema squisitamente umano, noi siamo esseri umani, quindi, teoricamente, all'altezza del compito. Importante è non pensare di risolvere questioni rilevanti prendendo scorciatoie, e impegnarsi a trovare buone risposte, che sono quelle che i bambini chiedono, con la consapevolezza che non saranno magari definitive, e che si potranno correggere col tempo, l'ascolto e le esperienze, soprattutto se si è in loro compagnia. Perché non credo esista una compagnia migliore per riflettere su tutto ciò, della loro. Primo perché i bambini spesso sono più allegri e vispi della gran parte degli adulti e, secondo, perché, come hanno affermato i più importanti pedagoghi della storia, da Jean Jacques Rousseau a Maria Montessori, possiedono una profonda capacità di riflessione sulle grandi questioni, un vivo senso della giustizia e in questo senso sono in grado di insegnare molto a chi sta loro vicino.


Tutto ciò, a preambolo di un libro che dal mio punto di vista appare come una versione evoluta dei vecchi manuali di buon comportamento. O, meglio, una via di mezzo fra questo e un manuale di educazione civica. Perché, in effetti, se dell'educazione non si vuol fare unicamente una faccenda (pur dotata di una sua ragione d'essere) di collocazione di cucchiai, tovaglioli e posti a tavola, sempre si finisce nel campo delle regole che disciplinano la vita della collettività, e in quello della relazione fra individuo e organismo sociale.
A questi temi Giusi Quarenghi dedica una riflessione interessante dedicata ai piccoli, dal titolo, molto significativo, di Si può, che così principia:

Non sempre si può - ma a volte si deve -

fare quello che salta in mente.

Non sempre si deve - ma a volte si può 
-
fare non come dice la gente.



Si può anche non volere

non dovere, non potere.

Non riuscire a fare questo

ma essere capaci di fare quello.

Essere né di meno, né di più

essere come sei tu.


Attraverso un uso delle parole che precipita il lettore in medias res e ribalta il consueto punto di vista, la questione è presa di petto. Rivolgendosi ai bambini, la voce che qui parla, forte e chiara, introduce un concetto nuovo: si può fare non. Un concetto dirompente, che cambia le carte in tavola.
perché la prima conseguenza dell'introduzione di questo concetto, è che il divieto smette di essere una imposizione decisa al di fuori della nostra sfera, e ineluttabile, per ricadere invece nel dominio della libera scelta. E infatti, qualche riga più sotto, l'autrice afferma che si può anche non volere, non dovere, non potere. In un contesto, come il nostro, in cui la progressiva ineducazione, prima ancora che maleducazione, va di pari passo a un progressivo conformismo, si tratta di una indicazione importante. Perché le due cose sono fortemente legate.


Il fascino della trasgressione per i bambini, per i ragazzi sta nell'andare contro, più che a una norma, a un divieto, espresso dalla più familiare e odiata delle espressioni: non si può. Ma se utilizziamo queste tre parole riconsiderandone l'ordine, la prospettiva muta completamente e davanti a noi si apre il campo aperto della libertà, con tutte le sue possibilità. Ogni cosa, allora, capiamo improvvisamente, non dipende più da quello che una voce esterna ci dice che dobbiamo essere o non essere, fare o non fare, ma da noi, da quello che per noi decidiamo, da quello che vogliamo (mi viene in mente la risposta che un bambino di una scuola Montessori diede a una signora in visita, la quale, perplessa, osservava che i bambini lì facevano “tutto quello che volevano”: “Noi non facciamo tutto quello che vogliamo, noi vogliamo quello facciamo”). Basta una semplice inversione fra verbo e negazione, e diventiamo responsabili dei nostri gesti e dei nostri pensieri, ce ne assumiamo le conseguenze.


Cosa sono le cose che si possono non fare? Moltissime. Le cose che si possono non fare sono come i giorni di non compleanno, a stare ad Alice e alle sue cronache da Dietro lo specchio, ma anche da Wonderland: sono più di 364, sono tutti i giorni di una vita (come ci insegna da sempre la poesia, per esempio nelle parole di Wisława Szymborska in Disattenzione, quando ci invita all'unico vero dovere che abbiamo verso noi stessi: quello di essere noi nel mondo, e non solo in noi stessi o nel mondo). E il paragone non è a effetto. Il dominio della libertà e quello delle parole, hanno molto in comune: cambiare una regola consolidata, che normi un comportamento o una frase, può voler dire fare una rivoluzione. Alice si trova per la prima volta a riflettere sul significato delle cose quando precipita in un mondo che usa le parole in modo diverso dal suo, e di cui non coglie la logica, e quindi il senso. E comincia per questo a riflettere su ciò che ha sempre dato per acquisito. In questo rivedere costantemente il proprio punto di vista, in questo prendere le proprie misure in un confronto accettato con quelle del mondo, sta, appunto, il processo della crescita.


Giusi Quarenghi nel suo libro invita i bambini a compiere un viaggio analogo; li esorta a precipitare in un equivalente della tana del bianconiglio, a scivolare dietro lo specchio. Un percorso nella sostanza della libertà che solo può portare a crescere, e che non si risolve in una opposizione statica e asfittica fra permesso e divieto, ma fa appello ai desideri profondi dell'individuo, alla sua necessità di differenziazione e di relazione, al suo bisogno di Sé e al suo bisogno dell'Altro.
C'è tanto “mondo” in questo testo: la pelle dei fichi, i mucchi di foglie secche, la febbre, i muretti, i cachi e i bruchi, il vomito, le pozzanghere, i gechi, la pioggia, il pane, le ortiche, le formiche, le mani, i piedi, la neve fresca, l'influenza, le rane, la luna, i rami, l'erba, il vento, le ombre, le stelle... E c'è anche tanto “sé”, espresso nel momento dell'essere: l'avere e il non avere paura, l'avere e il non avere schifo, il guardare, il vedere, il parlare, il provare, l'arrivare, l'ascoltare, il dondolare, l'annoiarsi, lo sbagliare, il non dare la colpa, il non voler fare pace, il rincorrere, il sopportare, l'arrampicarsi, il capire, l'arrossire, il brontolare, il non dormire, il ridere, il pensare, il carezzare, il tirare dritto, lo star soli, il non andare d'accordo, l'osservare, il raccontare...


Una varietà di esperienze e di fenomeni che costringe il lettore ad allargare l'orizzonte dello sguardo nel pensare alla libertà. E che sposta il discorso delle regole a quello, tout court, della vita e dell'interesse che proviamo, nel viverla, a trovarne, appassionatamente, il senso. Che poi è l'orizzonte largo, larghissimo in cui i bambini sono immersi e dentro il quale va a cadere il senso di quel che accade loro e quello delle loro azioni. Ridurre il discorso della libertà, dei diritti e dei doveri, all'ambito ristretto di una casa, di una famiglia, di un ambito parentale, di una classe, di approvazioni e disapprovazioni, di gratificazioni e frustrazioni, di premi e castighi, ci dice Giusi Quarenghi, è fare loro un torto. Un torto immenso.
A questa mancanza di prospettiva e di significato nell'educare viene il sospetto si debba attribuire quel tragico errore tanto spesso commesso di interpretare l'essere bambini per una malattia incomprensibile, ingestibile.

Chi è vivo può ammalarsi, 

disturbare, preoccupare...

Niente pillole per favore

non corriamo dal dottore.

In questo senso sono certa che la lettura di questo libro oltre che ai bambini, sarà proficua anche agli adulti, come lo è quella di ogni albo illustrato di valore.
Chiedo scusa ad Alessandro Sanna, autore delle illustrazioni del libro, per avere parlato solo del testo di Giusi Quarenghi. Lo so: a proposito di un libro illustrato non si fa. Ma il tema trattato e il modo con cui lo è stato, mi stavano particolarmente a cuore. Per questo ho esaurito tutto lo spazio. Di buono c'è che le illustrazioni hanno una tale visibilità che mi affido alla loro forza e alla perspicacia e all'occhio acuto dei nostri lettori per la loro lettura.
(gz)

Grazie a Franco Cosimo Panini Ragazzi per averci messo a disposizione le immagini del libro.

7 commenti:

  1. Se questo prezioso libricino fosse un'antologia, potrebbe ospitare questa poesia di Shel Silverstein:
    Ascolta i NON DEVI, bambino,
    ascolta i NON C’E’,
    ascolta i NON PUOI,
    gli IMPOSSIBILE,
    i MACCHE’,
    ascolta i NON SOGNARTI,
    ma dopo ascoltami un po’:
    tutto può succedere bambino,
    TUTTO si può.
    - SHEL SILVERSTEIN -

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  2. Giusi è davvero una delle voci più alte che abbiamo oggi, per piccoli e grandi, per sogni e consigli, per lupi, porcellini e perfino conigli!
    Grazie, Topi! ale

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  3. -vogliamo quello che facciamo- e non facciamo quello che vogliamo è una grande rivoluzione di pensiero. Da una libertà incondizionata a una libertà pretesa e dfesa. GRANDE DIFFERENZA!
    Bellissimo post!

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  4. Che bella riflessione, questo libro l'ho preso in biblioteca un po' di tempo fa e mi é piaciuto moltissimo,giusto trovo che sia una finestra per guardare in un altra direzione, ma mi sa che adesso lo voglio proprio tutto mio.

    Grazie Topi, per sempre.

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  5. complimenti a Sanna per le illustrazioni, molto fresche e divertenti..

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  6. Grazie a tutti. Il libro merita davvero di essere letto, utilizzato con i bambini e discusso. Penso sia un ottimo punto di partenza, per tante riflessioni comuni, di grandi e piccoli, a casa e a scuola (o dove si vuole! anche al parco o sotto le stelle...)

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