martedì 11 dicembre 2012

La Kriptonite nella borsa

[di Valentina Colombo]

In un sabato piovosissimo ho scoperto un film delizioso, diretto da Ivan Cotroneo, al suo esordio in regia: La Kryptonite nella borsa, tratto dall'omonimo romanzo dello stesso regista, pubblicato da Bompiani nel 2007.



Il protagonista è un bambino di nove anni, Peppino. Ha occhi grandi e blu, nascosti dietro a occhialoni spessi e viso incornciato da una foresta di capelli ricci e corvini, magrolino e con le gambe da gazzella. Siamo a Napoli, negli anni '70. La mamma di Peppino, Rosaria, (una intensa Valeria Golino) e il papà (un sempre bravo Luca Zingaretti) lavorano come dattilografa e come commerciante di macchine da cucire. Ci sono poi i nonni, gli zii Tinetta e Salvatore, figli dei fiori irresponsabili e incoscienti, lo zio Federico, che sta preparando un esame e non fa altro che studiare; Assunta, povera in canna e con una famiglia che le vampirizza lo stipendio, mentre lei sogna il principe azzurro. Ma soprattutto c'è il cugino Gennaro, che si crede Superman. Tutina azzurra e mantellina rossa, teme più di tutto, neanche a dirlo, la kryptonite. Il titolo del film è una delle prime frasi pronunciate proprio da Gennaro, che ispeziona la borsa di Rosaria in cerca della letale pietra.
Ma la kryptonite, ovviamente, è una metafora. Rappresenta i segreti, grandi o piccoli, di ogni famiglia. Quelli che si tenta di nascondere in fondo alle borse e ai cassetti, che si hanno consapevolmente o dei quali si è vittime; i segreti che possono far del male anche se non vengono a galla e non sappiamo che ci sono, i segreti degli altri.

Il segreto di Rosaria è che il marito la tradisce. Rosaria si chiude in un silenzio malato. Non si alza più dal letto, non parla, non mangia quasi. Intorno a lei la famiglia si riorganizza per far fronte a questo misterioso "mal di testa" che non se ne vuole andare.
Peppino naturalmente sente il dolore della mamma. Ne sente una mancanza profonda. Il padre, troppo occupato a incastrare la sua tresca con il lavoro, e con la presenza di Peppino, è presente a tratti e sempre nel modo sbagliato. La famiglia, così occupata a spettegolare, si trova spiazzata quando si tratta di occuparsi di Peppino: "Ma noi, questo bambino, a chi lo diamo?", si chiedono tutti seduti intorno a un tavolo. Peppino è in un angolo, spettatore passivo, e gli adulti ne parlano quasi come se non ci fosse, come di una noia di cui qualcuno si dovrà pur far carico. Non i nonni, e nemmeno Federico, che sta studiando per il primo esame da dare all'università (in preparazione da cinque anni). Titina e Salvatore invece, hippies, giovani e scapestrati, in cambio di una "mancetta" accettano di portarsi dietro Peppino: feste, lsd (ebbene sì), raduni femministi certo non adatti a un bambino. Il papà, poi, cerca di reinventarsi "maestro di vita", tentando di consolare Peppino dopo la morte di Gennaro: le scene con i pulcini si spiegano da sole (e io non ve le racconto).

Il film scorre divertente e amaro. Peppino e le sue domande, il suo essere bambino, vengono totalmente ignorati dal mondo adulto che dovrebbe proteggerlo e crescerlo. In qualche modo tutti cercano di tenerlo occupato, per poter sbrigare le proprie faccende. Ma nessuno gli sta veramente vicino. Peppino osserva, cerca di capire, chiede e vuole inserirsi in questi ritmi di vita adulta che gli vengono imposti, ma che ovviamente non gli appartengono. Non c'è però cattiveria in nessuno, sia ben chiaro. C'è ignoranza, superficialità, noncuranza ed egoismo.

Come ogni bambino, Peppino ha delle risorse segrete, speciali, magiche. A Peppino basta chiamare Superman (non più Gennaro, ma il suo alter ego) e chiedergli aiuto. Lui accorre, non lo lascia mai solo, lo protegge. Non fa nulla, in realtà: si tratta più che altro di una presenza che riempie un vuoto, un'illusione che consola e che fa riflettere, una sorta di educatore con il mantello che ricorda a Peppino ciò che è giusto. Superman ha lo stesso candore e semplicità di un compagno di giochi e di un amico con cui crescere insieme, e alla fine, volare, al di sopra di tutto.

In questo brulicare di episodi surreali, sullo sfondo la figura della prima mamma, quella sul podio, Rosaria, è fondamentale. Sì perché Peppino ha tre mamme: la sua mamma, la Madonna e la maestra, ognuna con il suo posto sul podio. Anche qui, non vi racconto altro.
Rosaria è assente, ma costantemente in primo piano, perché tutti sperano che si riprenda. Mantiene la sua kryptonite nella borsa, e ci fa i conti da sola, abbandonando la realtà e, in modo anche egoista, cucendo le ferite e ritrovando se stessa attraverso la terapia. Forse, trovando anche la forza nella bellezza ingenua di suo figlio, che però da sola non basta a farla rialzare.


Il film inizia affermando che la storia che si racconterà riguarda l'amore. Può l'amore renderci così tanto egoisti ed egocentrici da dimenticarci di prenderci cura di chi ha bisogno di noi? La risposta, qui sembra essere sì e anche no. Il film non risponde e non ha nemmeno la pretesa di farlo. Ma lascia una sensazione agrodolce quando finisce, è leggero, ma non superficiale (come alcuni critici hanno scritto) e nel suo prendere atto di certe dinamiche umane risulta sincero e anche ingenuo. Un po' come Superman.

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