lunedì 4 aprile 2011

Elsa che raccontava

[di Luisa Mattia]

Provo a immaginare la bambina Elsa.
Lei, che diventerà “La Morante”.
Lei, quella che scriverà Menzogna e sortilegio.
Lei, che scriverà L’isola di Arturo.
Lei, che racconterà con affetto profondo di narratore  le vicende del piccolo Useppe,  protagonista del  romanzo La storia.
Lei, è stata bambina.

Non sappiamo granché della sua infanzia romana, passata tra i libri e l’immaginazione. Non sappiamo come vestisse né quale fosse il gusto di gelato preferito. Non sappiamo quale fosse il giocattolo più amato. Sappiamo che amava i gatti e i grandi cappelli, che aveva occhi grandi e lo sguardo severo, che volentieri sorrideva e faceva una smorfia da monella. Si vede bene, nelle foto.

Sappiamo, anche, quale fosse il suo gioco più bello, quello che maggiormente la attraeva e che, con allegria ostinata, praticava: raccontare.  Non si vede dalle fotografie ma da un libro. Un libro che pare una festa. Ci sono disegni – tanti – in bianco e nero e coi colori. E una storia che comincia piano piano e sembra che subito smetta. E invece no, ricomincia , come fosse la geometria di un caleidoscopio. Il libro racconta una storia buffa. Una storia che non è una sola ma tante. C’è Caterì, la protagonista. E una bambola brutta che si chiama Bellissima (come resistere al gioco del contrasto?) e che si perde perché Caterì prima non la vuole e dopo la rivuole ma…è troppo tardi per ripensarci! Così comincia un viaggio.


Lo racconta Elsa, che è una bambina a cui piacciono i viaggi e le fiabe. Ha imparato dai libri che le due cose – le storie e i viaggi – vanno sempre insieme. Perché se ti muovi, ti sposti, insegui un sogno o una brutta bamboletta di pezza che si chiama Bellissima… beh, le avventure ti vengono incontro.
Certe volte sono lievi come la brezza del mare d’estate. Certe altre soffiano forte come un vento cattivo e ti fanno rotolare, carambolare, precipitare così forte che ti sembra di non farcela proprio ad andare avanti.

Elsa sa bene, però, che – nelle fiabe e certe volte nella vita – quando sei lì che ti sembra di essere sola e che nessuno ti possa aiutare, arriva invece una mano che ti solleva, una faccia che ti sorride, un braccio a cui potersi appoggiare. Così, nella storia che racconta le avventure di Caterì-Caterina, la bambina affronta il viaggio insieme al suo amico Tit il Magnifico. Alla ricerca di Bellissima che chissà dove è finita ma, ne siamo certi, si ritroverà.

Comincia una storia che si scioglie come una filastrocca, come una cantilena, come una ballata messa in scena nel Gran Teatro delle storie.

Elsa – chissà? – deve aver letto molto, molto giocato con burattini e marionette – avrà avuto un teatrino? – e molto ascoltato le storie raccontate dai grandi. Forse le ha sentite dai vecchi, che sono bravi a raccontare, perché vanno lenti e si fermano sulle parole, riprendono fiato nel mezzo delle avventure e tu che li ascolti non ti allontani dalla sedia, non smetti di concentrarti sulla loro voce quieta, per non perdere neppure una parola.

Si sarà parecchio divertita, Elsa la bambina, ad ascoltare le storie. Poi dev’essere successo che, in qualche ora del giorno o della sera, non c’è stato vecchio né adulto capace di raccontare. E che ha fatto Elsa? Quel che è giusto fare. Si è messa ad inventare.
S’è raccontata le storie, come le andava di fare. Ha preso un pupazzetto, s’è messa dietro la poltrona, magari, per fare una voce, e poi un’altra. Per fare un teatro di storie.
Le piace dare voce ai personaggi. E dargli un nome.

Nella storia di Caterinetta, la bambina Elsa -  che, di certo, prima ha immaginato una storia, e le voci, e le facce - ci sono tanti con nomi buffi e strani. Ci sono Sparacannone e Terrore, briganti. C’è Grigia, la donna-dei-sogni-del-mercante-di-stoffe. C’è la Regina delle fate e il Principe Felice, il signor Gufo e una Vecchia Quercia che sorride.

È una festa, questo libro che narra Le bellissime avventure di Caterina, perché c’è dentro il gioco del raccontare, insieme ai sogni e alle risate; perché quel che è buffo diventa voce e disegno, prende forma in un raccontare che ha bisogno di una casa dove stare. La storia di Caterì ha bisogno di diventare un libro. Elsa la bambina ci si mette a fare la storia, i disegni e il libro.

Li pensa, li immagina, li compone. Non pensa più solo al suo divertimento, al suo buffo inventare. Pensa al lettore.
E qui c’è lo stupore. Non solo del lettore ma anche di Elsa la bambina che, è certo, deve essersi resa conto che il gioco del narrare prende le forme belle del futuro.

Caterì, Bellissima, Tit e tutti gli altri stavano e stanno nelle pagine, s’affacciano dai disegni, spuntano dalle tavole a colori. Fanno la storia. E fanno anche l’autrice.
Perché quando chi racconta – qualunque sia la sua età. Elsa quando scrive di Caterì, ha tredici anni – incontra il suo lettore diventa narratrice/narratore, non è più capace di fare a meno di colui/colei che leggerà. Ne ha bisogno come una fiaba ha bisogno del lieto fine. Chi racconta cerca chi lo ascolterà.
Chi scrive cerca chi lo leggerà.
Elsa, alla fine delle avventure di Caterina, segna e disegna il suo futuro: diventa scrittrice, anche se ancora non lo sa.  

Le immagini che corredano questo bello scritto di Luisa Mattia sono della nostra copia de Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina, nella prima edizione, in grande formato, con dorso in tela blu, di Giulio Einaudi Editore (1942-XX). La nostra copia è in condizioni eccellenti,  a parte uno scoloramento della carta alle prime cinque pagine, in un cerchio di pochi millimetri di diametro. Si tratta di un’edizione eccessivamente rara. Sul mercato si trovano più facilmente, ma a volte a prezzi ingiustificatamente alti, le altre edizioni einaudiane. Dal 1959, le “bellissime” avventure diventano, chissà perché, “straordinarie”. Le straordinarie avventure di Caterì dalla trecciolina è, quest'anno, uno dei libri imperdibili segnalati da Scelte di classe 2011, selezione dei migliori libri del 2010, organizzata da Tribù dei lettori, iniziativa di cui presto ci risentirete parlare.

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