venerdì 31 dicembre 2010

Grandi cose per l'anno nuovo

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Ecco un'altra pagina dai mirabolanti Quindici, tratta dal volume Feste e costumi. Negli anni Sessanta  decisamente sapevano impaginare e illustrare, anche prodotti editoriali di larghissima diffusione e molto popolari. Leggete il testo: è meravigliosamente naïf!

venerdì 24 dicembre 2010

«Buon Natale!» dice il cavallo

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Childcraft. The How and Why Library nacque negli anni Trenta. Era un progetto rivoluzionario di enciclopedia per ragazzi creata con l'obiettivo di insegnare e istruire, divertendo.
Partita con sette volumi, nel 1950 arrivò a quindici. E, infatti, quando approdò in Italia, negli anni Sessanta, si intitolò proprio I Quindici libri. Fu un clamoroso successo. Ogni volume era dedicato a un tema: Racconti e fiabe, Poesie e rime, Il mondo e lo spazio, La vita intorno a noi, Come funzionano le cose, Fare e costruire, Scienziati e inventori ecc.  
Il quindicesimo volume, intitolato Voi e il vostro bambino, che nessun bambino sano di mente ha mai preso in considerazione, si rivolgeva ai genitori, dispensando loro consigli su come conoscere, allevare, educare e curare i loro figli. La qualità dei testi e delle immagini dei Quindici era notevole. Basti dire che fra gli illustratori che lavorarono ai Childcraft ci furono Maurice Sendak, Charlie Harper, William Steig ed Eloise Wilkin. E che l'edizione originale americana del volume dedicato alla poesia annoverava, oltre alle celebri nursery rhymes di Mamma Oca, testi di Robert Louis Stevenson, Kate Greenaway, Robert Frost, Longfellow, Shakespeare, Kipling e altri importanti scrittori.
La pagina che qui vi proponiamo, deliziosa nella sua elvetica ingenuità, è tratta dal volume Feste e costumi. In tutta Italia, vi sono leggende che raccontano di animali parlanti, la notte di Natale. 

Da oggi il nostro blog va in vacanza. Tornerà il 31 dicembre con un post estemporaneo e augurale sul capodanno, anche lui tratto dall'ottimistica e inesauribile vena dei Quindici.
Riprenderemo poi la consueta attività il 10 gennaio.
Grazie per averci seguito e tanti auguri a tutti!

giovedì 23 dicembre 2010

Confessioni di un Elfo Fotografo

Conoscete David Sedaris? Se non lo conoscete, questo post sarà il nostro regalo di Natale.
David Sedaris, americano di origine greca, nato nel 1956, è un genio dell'umorismo contemporaneo. Non va letto in treno, autobus o sale d'aspetto, perché le crisi di irrefrenabile riso che provocano i suoi racconti potrebbero compromettere seriamente la vostra algida immagine di severi, impegnati e intellettuali lettori. David è divertentissimo, ma attenzione: impietoso, e con tutti. Anche malati, bambini, gay, spostati, donne, vecchi, depressi e animali. Il fatto poi che lo sia anzitutto con se stesso, è la ragione per cui lo si perdona.
Ha esordito negli anni Novanta con la lettura, alla National Public Radio, del racconto I diari del paese di Babbo Natale, descrizione della sua esperienza come elfo natalizio in un grande magazzino di New York (diventato, appena pubblicato, un best sellers). Di questo racconto è praticamente impossibile selezionare un brano. Ne abbiamo scelto uno in cui compaiono i protagonisti per eccellenza del Natale: i bambini, come suggerisce la quarta di copertina, “vittime inconsapevoli dell'insensatezza della festa”.  Il consiglio è il solito: mettete le scarpe e correte in libreria. Sta nel volume Ciclopi, Mondadori 2003 (anche in ebook). Dopo averlo letto, non potrete più fare a meno di questo spiritoso e acutissimo giovanotto, e ne pretenderete l'intera produzione: Holidays on Ice, Me parlare bello un giorno, Diario di un fumatore, Mi raccomando: tutti vestiti bene, Quando siete inghiottiti dalle fiamme.
Divertitevi!

The Enchanted Village of St. Nicholas (Boston)
Foto di Chris Devers
Questa sera mi hanno spedito a far l'Elfo Fotografo, un compito che le prime volte mi era piaciuto un sacco. La macchina fotografica è nascosta nel caminetto e io scatto una foto premendo il bottone che sta in fondo a un filo elettrico. La foto ti arriva per posta alcune settimane più tardi e non c'è modo di identificare l'elfo che l'ha scattata e considerarlo responsabile, ma tutti quanti ci teniamo lo stesso a fare un buon lavoro.
Durante il training ci hanno fatto vedere delle foto venute male, con i movimenti scomposti e sfocati del braccio di un elfo in primo piano o impallate da un animale di stoffa o con Babbo Natale che sbadiglia. Dopo aver scattato la foto, l'elfo deve staccare il tagliandino numerato in fondo. Se l'elfo è incapace e un po' scemo può rovinare un intero rullino, costringendo famiglie orgogliose a pagare e ricevere fotografie di perfetti estranei con sorrisi a trentasei denti.
A fare fotografie alla gente si scopre una quantità spaventosa di cose, e l'aggettivo
spaventosa è tutt'altro che casuale. Se poi i genitori sono presenti, i casini raddoppiano. Nel Paese di Babbo Natale si scatta una foto a ogni bambino, che i genitori possono accettare o rifiutare. Tutti possono portare telecamere, videoregistratori e quant'altro. Quelli che davvero mi sfiancano sono quelli che io chiamo i gruppi multimediali. Trattasi di genitori curvi sotto il peso dell'equipaggiamento elettronico, instancabili nella loro brama insaziabile di documentazione.


The Enchanted Village of St. Nicholas (Boston)
Foto di Chris Devers
Li vedo nel labirinto, con le loro videocamere, mentre dicono ai loro figli di fingersi sorpresi. «Monica, tesoro, guarda il trenino e poi girati verso di me. No, verso di me. Adesso fai ciao con la manina. Ecco, così. Muovila, quella mano.»
I genitori bloccano la fila e tocca all'Elfo Labirinto farli accelerare.

«Mi scusi, signora, ma oggi siamo davvero pieni e le sarei molto grato se accelerasse. C'è un sacco di gente in coda.»
Allora i genitori ti chiedono di metterti dietro il bambino e fare ciao con la mano. Io lo faccio. Mi metto in piedi dietro un bambino, chiedendomi dov'è destinata a finire la mia immagine. Già mi vedo nel televisore di una stanza pannellata in posti assurdi come Wapahanset o Easternmost Meadow. Vedo la famiglia che litiga per il possesso del telecomando e schiaccia il bottone dell'avanzamento veloce. L'ampio saluto del bambino diventa un cenno frettoloso. Quando faccio la mia comparsa tutti nella stanza pensano la stessa cosa: «Cosa ci fa quello stronzo nel Nostro Filmino di Natale?»
Il momento che tutta questa massa di gente aspetta con stoica resistenza è l'incontro con Babbo Natale. In qualità di Elfo Fotografo io devo farli entrare nella stanza e controllare che tutto vada bene.

«Allora, Ellen: voglio che tu e Marcus vi mettiate davanti a Babbo Natale e quando io dico “adesso” dovete saltargli in braccio. Guardate di qua. Ecco, adesso guardate papà fin quando non vi dico di guardare Babbo Natale.»
The Enchanted Village of St. Nicholas (Boston)
Foto di Chris Devers
Poi si rivolge a sua moglie che sta alla macchina fotografica e si accuccia sul pavimento col suo esposimetro e una Nikon con tutti gli accessori in commercio più due inventati da lui. L'armamentario è tremendamente pesante e le vene delle braccia gli si gonfiano da far paura.
Poi ci sono le famiglie mutlimediali in branco, che dicono: «Ok, adesso facciamo una bella foto a Anthony, Damascus, Theresa, Doug, Amy, Paul e Vanity. Ci stanno tutti quanti? Babbo Natale, cosa ne dici se Doug ti sale sulle spalle, si può?»
Durante questi incontri i bambini raramente riescono a esprimere i propri desideri a Babbo Natale. Sono troppo impegnati a farsi dirigere dai loro genitori.
« Vantity e  Damascus, guardate qui. No, ho detto
qui
«Babbo Natale, potresti abbracciare Amy e al tempo stesso dare la mano a Paul?»
«Ecco, così. Benissimo.»

Ho visto genitori sistemare i figli sulle gambe di Babbo Natale e immediatamente cominciare a strigliarli: pettinarli, sistemargli un orlo, raddrizzargli il cravattino con l'elastico. Li ho visti spruzzare la lacca sui capelli dei figli, trattando Babbo Natale come un manichino di cemento, girandogli la testa e spruzzandogli lo spray negli occhi.
The Enchanted Village of St. Nicholas (Boston)
Foto di Chris Devers
I più piccini, quelli dai due ai quattro anni, tendono ad avere paura di Babbo Natale. A loro non gliene frega niente di farsi fare la foto, perché non sanno che cos'è. Non sono vanitosi, sono bambini e si comportano di conseguenza... ovvero scoppiano a piangere. Un buon Elfo Fotografo sa che, una volta che un bambino si mette a piangere, è finita. Cominciano a piangere nel Paese di Babbo Natale e non la piantano fino a quando non si trovano a dieci isolati di distanza.
Appena il bambino comincia a piangere Babbo Natale per un po' cerca di consolarlo, poi dice: «Magari ci riproviamo l'anno prossimo.»
I genitori, però, si sono già organizzati per spedire le foto ai parenti e metterle negli album di famiglia. Sono rimasti in fila più di un'ora e non hanno nessuna intenzione di arrendersi tanto facilmente. Ho visto una donna dare uno schiaffo alla sua bambina che piangeva e sbattacchiarla gridando: «Cristo santo, Rachel, adesso tu salti in braccio a Babbo Natale e fai un bel sorriso, altrimenti te lo do io un buon motivo per piangere.»
Scatto spesso foto a bambini che piangono. Ancora più grottesco è scattare foto a un bambino in lacrime con un falso ghigno stampato in faccia. Non si tratta di sorrisi, quanto piuttosto di smorfie esasperate, vagamente simili a un sorriso. Eppure ai genitori piacciono lo stesso.
«Oh, finalmente! Brava, Rachel. Adesso usciamo da qui. Tua madre ha un mal di testa che le passerà quando sarai maggiorenne.»


(trad. Francesco Salvi)

mercoledì 22 dicembre 2010

Con un cane e un coccodrillo

Perché mai abbiamo scelto Melrose e Croc fra i libri con cui farvi gli auguri di Natale?
Intanto, Emma Chichester Clark è una importante autrice di picture books, ma questo l’abbiamo scoperto solo dopo aver acquistato il libro, ormai qualche anno fa.
Forse qualcuno potrebbe pensare che non si tratta di un libro troppo nel nostro stile: vero. Infatti ha persino gli "sbarlüsini" in copertina… Però, noi ugualmente possiamo affermare senza timori di essergli affezionati.
Forse perché parla di una cosa che a Natale può capitare: sentirsi un po’ tristi e soli in mezzo alla confusione e al trambusto generali (e anche un po' demenziali, a dire il vero). Lo fa in una maniera molto delicata, quasi non ce ne si accorge. Per esempio nelle illustrazioni, tutte giocate sul contrasto fra la luce dorata degli interni e l’oscurità azzurrina della notte.
Questa bellezza visiva dell’albo, bene descrive l’alternarsi di sentimenti gioiosi e malinconici tipici dell’atmosfera che precede il Natale e di quella del suo compiersi, in una sorta di tempo immobile e sospeso. Fra le righe, insomma, questa storia sembra dire che l'intensità della festa dipende anche dalla molteplicità dei sentimenti che suscita, anche contraddittori: una cosa di cui non bisogna avere paura.
L’illustrazione più bella, a nostro avviso, è quella di Melrose e Croc sulla macchina rossa, con l’albero di Natale: forse un omaggio a Babar in gita sulla sua splendida decapottabile rossa. Un inno alla gioia che per i bambini è sempre molto importante.
Domani parleremo del Natale, in modo molto diverso: preparatevi.

martedì 21 dicembre 2010

È inverno!

All'inverno per i bambini è una gran gioia perché viene la neve ed essi possono tirar palle e poi scivolare colle scarpe, ma se passa un carabiniere sono come tanti uccellini col cacciatore.

Da tre anni ho lo slittino ma quante tombole in mezzo alla neve, perché, peccato, non ha i pattini ed è per quello che si fanno tante tombole. Una volta un ragazzo mi aveva detto di prendere un cerchio delle botti ma il mio babbo mi ha detto: No, lo adopero io. E così il mio povero slittino è rimasto senza pattini.


Questo pensiero, con cui inauguriamo la stagione invernale del nostro blog, appartiene a Giuseppe Noriller di Borgo Sacco che nel 1929 aveva nove anni. L'abbiamo trovato in un bel volume, Bambini di montagna. Storie d'infanzia 1870 – 1960, a cura di Quinto Antonelli e Cristina Zorzi, edito nel 2010 dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e dall'Ente Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino. Il libro raccoglie parte della documentazione esposta nella mostra Bambini di montagna – allestita nell’estate 2009 a Villa Welsperg e nella primavera 2010 presso le Gallerie di Piedicastello: vecchie fotografie in bianco e nero, illustrazioni, disegni e pensieri di bambini di molto tempo fa, storie vere e inventate, leggende, fiabe, oggetti, libri, quaderni, fogli sparsi e calendari. Per cercare di far rivivere le storie e le fantasie dei bambini e dei ragazzi vissuti sulle montagne trentine quando la vita era più difficile e molto più povera. Per ricostruire un mondo contadino che ora non esiste più, se non nella memoria scritta e orale delle donne e degli uomini più anziani. Alcuni di loro, in occasione della mostra, sono stati intervistati a commentare i luoghi e le tappe di queste infanzie contadine. Le loro testimonianze sono raccolte nel DVD allegato al libro.
A leggere queste pagine, intense e belle, vengono in mente certi racconti di Dino Buzzati, anche lui bambino cresciuto fra montagne, e di montagne poi per sempre appassionato frequentatore, narratore e pittore. È l'effetto che ci fa questa storia “gotica”, scritta nel 1930, in seconda elementare, da Marco Aurelio Eccel, di Pergine, per riassumere la leggenda di San Nicolò che la maestra aveva raccontato, la mattina, a scuola.

Tre bambini scapparono di casa. Venne la notte e ebbero paura e chiamarono mamma. Passò un oste e li prese con sé. Condusse i bambini nella sua cantina e li ammazzò. Tagliò la carne a pezzetti e la mise nel mastello e la salò. Il giorno dietro venne San Nicolò e disse all'oste: Datemi da mangiare carne salata. Non ne ho, rispose l'oste. Allora S. Nicolò scoperchiò il mastello e saltarono su i tre bambini sani. Il miracolo fece diventar buono l'oste.

lunedì 20 dicembre 2010

La gioia discenda su di voi

Nel 1789, e poi ancora nel 1794, William Blake ha creato e stampato il più famoso dei suoi illuminated books, e quello che può essere considerato il primo picture book della storia: Songs of innocence.
In questo libro non c'è nulla di specificamente riferito al Natale, ma si trova un prezioso canto all'infanzia: "Infant Joy". In controluce, in questo testo si legge il tema della Natività, dell'avvento di un bambino divino, privo di nome e di appartenenza, capace di rinnovare il mondo con la sua sola presenza, intatta e misteriosa.


I have no name
I am but two days old.__
What shall I call thee?
I hapy am
Joy is my name.__
Sweet Joy befall thee!

Pretty joy
Sweet joy but two days old.
Sweet joy I call thee;
Thou dost smile
I sing the while
Sweet joy befall thee.



Le due immagini che proponiamo sono tratte da libri che compongono la collezione di tesori bibliografici donata da Lessing J. Rosenwald  alla Library of Congress. L'intero corpus delle opere di William Blake è stato digitalizzato ed è accessibile da qui.
Una sintetica descrizione della tecnica di stampa utilizzata da William Blake si trova qui.
Non c'è momento più adatto dell'anno di questo, per riflettere su quel che ha detto ieri Paolo De Benedetti nelle bellissima trasmissione Uomini e profeti, citando il Salmo 8: Dio parla ex ore infantium.

venerdì 17 dicembre 2010

Io sono una femmina

Paolo Nori è uno scrittore nato a Parma, che ha 46 anni e una bambina di cinque anni che da poco ne ha sei.
Ha scritto molti libri. A noi piace molto quando nei suoi libri a un certo punto compare sua figlia, che si chiama Irma. Come per esempio accade in questo, che si intitola Mi compro una gilera.
Ecco qui un brano dal primo capitolo, Scimmie.



A mia figlia delle volte le piace farmi far l'Irma e le piace fare lei il babbo. Quando io faccio l'Irma che lei fa il babbo io le chiedo Posso guardare i Barbapapà?
No, mi dice lei.
Posso mangiare una mela?
No.
Posso bere un succo di frutta?
No.
Posso bere un bicchiere di latte?
No.
Posso bere un bicchiere d'acqua?
No.
Posso andare in bagno?
No.
Posso dormire un po'?

No. Fa una faccia da babbo serissima che lo fa bene, mi viene da dire, ma questo non c'entra.
Una volta salta fuori che Bazzocchi è malato. Come è malato?

È malato.
È venuto a farsi visitare?
Sì.
E cosa aveva?
Il catarrone.
Ha pianto?
Sì.
E quanto deve stare a casa?
Dodici giorni.
Allora dopo gli devi fare il certificato per tornare a lavorare.
Sì.

Te lo scrivo io, le ho detto, e ho preso un foglio ci ho scritto Io, Irma Nori, dichiaro che Bazzocchi è stato curato dalla sua sindrome da catarrone e che può tornare a lavorare in centro a fare il suo mestiere, e poi le ho dato il foglio e le ho detto To', firma. Ma come firmi, le ho chiesto poi dopo, che non sai scrivere?
Faccio un pesce, mi ha detto l'Irma, e sotto la dichiarazione ha disegnato un pesce. Ma questo non c'entra.
Dopo poi, giovedì scorso, ero lì con lei, lei voleva vedere Barbapapà, io non potevo farglielo vedere, deve vederlo al massimo una volta al giorno, allora lei un po' si è arrabbiata mi diceva Vai via.
Io ho preso un libro, lei me l'ha tolto di mano mi ha detto Vai via.
Io ho preso in mano un altro libro lei me l'ha tolto di mano mi ha detto È mio, vai via, vai a Parma.
Mia figlia abita a Bologna, io abito a Parma. Ogni tanto mi dice che vuole venire a Parma io sono contento, quella era la prima volta che mi diceva di andare a Parma.
Ho preso in mano un altro libro, lei me l'ha tolto di mano mi ha detto È mio, vai via, vai a Parma.
Io ho aperto il mio zaino, ho tirato fuori un libro, lei ha fatto per togliermelo di mano ha detto È mio.
No, le ho detto, è mio.
Lei mi si è avvicinata ridendo io le ho dato una spinta le ho detto Vai via.
Lei mi ha guardato, è scoppiata a piangere è corsa da sua mamma Il babbo mi ha mandato via, il babbo mi ha mandato via, diceva.
Dopo sua mamma ha cercato di farci fare la pace solo che c'era poco tempo io avevo il treno dovevo andare non siamo riusciti, a fare la pace. Lei stava aggrappata a sua mamma mi guardava diceva Ho paura. E io mi son messo il cappello il cappotto lo zaino sono andato a casa. Non ero ancora sul treno che stavo malissimo. Ho provato a chiamarla me la son fatta passare che volevo fare la pace solo come fai, a fare la pace al telefono, con una bambina di poco più di due anni.
Per quattro giorni ho pensato che quando mi avrebbe rivisto avrebbe avuto paura di me. Tutte le cose che vedevo che mi facevano pensare a dei bambini pensavo Anch'io, avevo una figlia che eravamo amici, dopo poi abbiam litigato. Adesso lunedì, pensavo, quando mi vede, avrà paura di me.
Dopo lunedì, quando la sono andata a prendere all'asilo, era contenta, di vedermi. Si era già scordata. Siam stati benissimo. Solo una volta che stava spaccando un badile del teatro della Pimpa che le avevo regalato io le ho detto No, forte, e lei ha avuto un tremlone di paura che io le ho detto Ti ho fatto paura?
C'era lì anche sua mamma le ha detto Non devi aver paura del babbo, ha la voce un po' forte.
Quel pomeriggio, a un certo punto, mia figlia mi ha detto Facciamo le bestie.
Va bene, le ho detto, io che bestia sono?
Un drago, mi ha detto lei.
E io ho fatto il verso del drago Graaaaah. E poi le ho chiesto E te che bestia sei?
Io sono una femmina, mi ha risposto lei.

Simona Mulazzani: San Giorgio e il drago (1995)
(Ringraziamo Paolo Nori per la Irma, e per la gentile autorizzazione a riprodurre questo brano)

giovedì 16 dicembre 2010

Milimbo

Certe cose nascono e crescono lentamente, come piante grasse. E appena ci metti il dito, zac!  pungono e ti accorgi che sono lì, e, tranquillo, non te ne dimentichi piú.

Qualche anno fa, alla libreria "Loring art" di Barcellona (visita caldamente consigliata se siete a zonzo per la città catalana), siamo rimasti sorpresi sfogliando un libro autoprodotto da uno studio grafico di nome Milimbo. Era un Cappuccetto rosso. Ci piacque, anche perché pensammo che fosse una maniera nuova di raccontare una fiaba tradizionale. Anche la scelta del titolo era originale: Y recuerda... E ci innamorammo delle illustrazioni di questo albo senza parole, dal gusto persino un po' rétro.


Passa il tempo, ed ecco che ci imbattiamo di nuovo in Milimbo; questa volta ci mettiamo ad esplorare la pagina web. Scopriamo che, oltre ad Hansel y Gretel, esistono anche Una rubia de Rusia (cioè una versione di Riccioli d'oro e i tre orsi ai tempi della Perestroika) e un simpatico La luna sabe a pescao. Milimbo fa anche dei poster molto accattivanti. Li trovate in vendita qui.

Visitiamo anche il blog: è da tenere d'occhio. E dopo una chiacchierata durante la Fiera di Montreuil, riusciamo a conoscere meglio il lavoro di questo studio, che nel frattempo è diventato editore.
Partito come un progetto di autoproduzione molto coraggioso, Milimbo fa ricerca sulla grafica, il design e il mondo editoriale e dell'illustrazione. Juanjo, anima di questa micro casa editrice, ci parla entusiasta di quest'ultimo anno, costellato di novità; dell'interesse che piano piano cresce attorno ai libri; delle prime partecipazioni alle fiere. Ci parla del futuro. La nostra impressione è che quando le cose si fanno bene, quando si assumono i rischi e la responsabilità delle proprie scelte, quando si ha la determinazione necessaria (e anche il talento!), allora tutto non può che andare bene.
Chissà quindi quale sarà la prossima mossa di Milimbo. Per ora, è impegnato a crescere. Buona fortuna!

mercoledì 15 dicembre 2010

Fai Natale con i Topi

Pioggia di segnalazioni natalizie per i nostri libri.


Sul numero di dicembre di Andersen, nell'articolo “Il mio libro per Natale”, diciassette librai specializzati consigliano ai lettori un titolo “per fare un dono davvero speciale”. Quattro di loro scelgono Topipittori.
Gianna e Roberto Denti, della Libreria dei ragazzi di Milano (esiste qualcuno al mondo che non li conosca?) indicano Il Fazzoletto bianco.
Milena Minelli del Castello di Carta, Vignola, e Nellina Adorno di Tempolibro, Catania, scelgono Gli uccelli.
Emanuela Morani di Libreria Il Segnalibro, Magenta, punta l'attenzione su Vorrei avere.
Su “Io Donna”, supplemento del “Corriere della Sera”, uscito l'11 dicembre, Anna Maria Speroni, nell'articolo “Mamma mi regali un libro?”, chiede a cinque grandi nomi della letteratura per l'infanzia di segnalare novità e classici. Beatrice Masini ci fa la grande sorpresa di optare per Il fazzoletto bianco.


Antonella Fiori, su “L'Espresso” del 16 dicembre, firma un articolone, “Bambini per sempre”, sui libri da regalare a Natale, e il suo itinerario ragionato passa attraverso Gli uccelli.

Infine, Elena Stancanelli, sul dorso R2 di “la Repubblica”, dell'11 dicembre, firma un'estesa e appassionata recensione su La nave. Che così comincia: «Il modo migliore per diventare grandi», come insegna Alberto Savinio, è coltivare una «maggiore infanzia», una vita «più libera, più fantasiosa... più chiaroscurata di profondi sogni, di profondi risvegli, più fresca, più giocosa...»

Un grande ringraziamento a tutte le persone che hanno guardato con attenzione e affetto ai nostri libri!

martedì 14 dicembre 2010

Un gatto molto famoso (e un bel gruppo di amici)

Avevamo intenzione di fare un post sulla nostra piccola collezione di libri di Kveta Pacovska (che, secondo l'informatissima Ninamasina si deve pronunciare "Quieta Pazzosca", senza che con questo le si manchi di rispetto), ma nell'incontro del gruppo di lettura di novembre, dedicato alle copertine, abbiamo presentato le copertine di questi libri come esempio dell'evoluzione dello stile di un'artista dell'illustrazione, passata da esordi molto "nella tradizione" a un presente molto d'avanguardia che noi personalmente amiamo meno.
Così, tutto è finito nel blog Alle nove da Babar, dove si raccolgono gli atti di questi incontri tanto informali quanto appassionanti, nei quali editori, librai, bibliotecari, illustratori e rappresentanti di altre e più esotiche professioni si scambiano idee, analisi e opinioni sui libri con le figure, coordinati e tenuti nei ranghi dal pugno di ferro di Diletta Colombo, genio della lampada di questo bel gruppo di amici.
L'ultima riunione ieri sera, qui dai Topi. Argomento: i libri illustrati che parlano di Dio. Prossimamente anche sul blog.
Ma di parlare della Pacovska ci era rimasta voglia. Ci ha soccorso la nostra postina (presto un post su di lei), che ci ha recapitato un nuovo acquisto: Jednicka z Provàzku, pubblicato da Albatros nel 1984.


Libretto tanto perfetto quanto celebre, per la copertina con il gatto a quadretti, suonatore di flauto, che ha fatto il giro del mondo sulla copertina del catalogo, ormai introvabile, della mostra che il Chihiro Iwasaki Art Museum di Tokyo ha dedicato all'illustratrice boema nel 1990.


La perfezione, oltre che alle illustrazioni, è da far risalire anche alle caratteristiche grafiche del libro, di formato maneggevole, ma realizzato con un equilibrio straordinario, senza mai perdere di vista il destinatario del libro, cioè, un bambino. Qui di seguito, alcune immagini.
Ulteriori commenti ci sembrano abbastanza superflui. Basta osservare ammirati.




Per saperne di più sulla bibliografia di Kveta Pacovska, questo è un buon inizio.

lunedì 13 dicembre 2010

Fidiamoci di loro

Alle nove del mattino,
il mondo è ancora in ordine. 
Una fiera commerciale, come la romana "Più libri più liberi" da cui siamo appena tornati, è un osservatorio ideale per l'editore che abbia voglia di prestare occhio, orecchio e pensiero ai suoi lettori e ai criteri, agli impulsi a cui questi si affidano nell'addentrarsi nella foresta dei suoi titoli. L'editore, infatti, si è costruito nel tempo un'idea molto precisa del proprio catalogo. Lavorare per anni sui singoli libri, la lunga consuetudine con le loro specifiche problematiche autoriali, produttive, editoriali, gli permette di instaurare con ognuno di essi un rapporto unico, intenso, approfondito. È stupefacente, dunque, per lui rendersi conto di come il contatto casuale, fra libro e lettore, l'incontro fra le loro diverse identità, sia in grado di far scoccare una sorta di scintilla magica, creatrice, in grado di spazzare via ogni pregressa esperienza, conoscenza, azzerandole completamente, per porlo, indifeso, davanti a una creatura del tutto irriconoscibile e sconosciuta, nuova, su cui poter posare uno sguardo carico di inquietudine, e perciò acceso, attento. E con ciò di poter vedere di essa cose mai viste, sapute, intese. Se poi il lettore di cui sopra, è un bambino, l'esperienza è tanto più interessante, destabilizzante. 
Un editore considerabile nel novero di coloro che editano i famigerati libri per i “figli degli architetti”, per esempio, può scoprire improvvisamente di fare libri per bambini normalissimi, chissà poi figli di chi. Libri che i bambini leggono, guardano, toccano, capiscono, desiderano e, infine, vogliono che siano acquistati, così come fanno con una normalissima cosa che gli piace, come il gelato, la pizza, la macchinina, l'orso. Libri che in seguito si faranno leggere per mesi, tutte le sere, da nonne, zie, mamme, papà. E scoprire che un sacco di gente normale, senza laurea in architettura, ma delle più disparate esperienze, culture e provenienze, quel libro, il più delle volte, è disposta a comprarlo se il suo bambino dice che sarà bello, che gli piacerà, anche se magari ha un testo che si potrebbe giudicare troppo “lungo” o “complicato”, o troppo "corto" e sintetico, o dominanti cromatiche inusuali, o tematiche “difficili”, improprie in quanto non specifiche alla fascia d'età, o è manchevole di una fine chiara o addirittura di un lieto fine, o non è scritto in caratteri ritenuti adatti, o ha illustrazioni eccessivamente complesse, “da adulti”, o è dotato di una copertina non sufficientemente sgargiante, magari troppo nera, troppo bianca... 
Dopo un'esperienza così, un editore può tornare fiduciosamente al proprio lavoro, con nuove energie e nuove speranze. E riflettere sul fatto che oggi molti equivoci a proposito di quel che nei libri piace o non piace ai bambini, quel che si deve o non si deve dar loro sotto forma di libro, non si fonda sulle reali capacità e potenzialità dei bambini lettori, ma su un prodotto medio basso che nel pensiero degli adulti ha preso il posto dei bambini, e su codici visivi e linguistici che una lunga, perversa consuetudine commerciale, editoriale e non, ha imposto al nostro immaginario di adulti come adatti o adeguati ai bambini. 
Poco, in verità, questi hanno a che vedere con loro e con la loro acuta intelligenza, sensibilità, capacità di vedere e riconoscere la bellezza, con la loro voglia di crescere, cioè di sentire tutta la gioia avventurosa di affrontare cose nuove e difficili. 
Piuttosto questi codici hanno a che vedere con noi, con le nostre scelte, il nostro gusto degradato e conformista, la nostra incompetenza, faciloneria, superficialità, ottusità, ridotta spinta vitale, pigrizia, mancanza di coraggio e incultura.
Torniamo ai lettori. Torniamo ai bambini. 

Viva i bambini! Fidiamoci di loro.

venerdì 10 dicembre 2010

Arianna & Dolores

Arianna è nata a Udine nel 1982. Dolores, nasce a Roma nel 1892 e muore nel 1983.
In comune, Arianna e Dolores hanno alcune cose, fra queste: lo studio, il pensiero, la scrittura. Dolores vi si dedica in un'epoca e in un paese in cui, nata femmina, non è poi così scontato né pensare né laurearsi né scrivere. Arianna, invece, in un'epoca e in un paese in cui, nata femmina, pensare, laurearsi e scrivere, non è poi così scontato che possa servire a qualcosa.
Ma la cosa che Arianna e Dolores hanno maggiormente in comune è quello che si potrebbe definire uno sguardo, un orecchio assoluto nei confronti dell'infanzia. E la capacità di tradurre in parole tale conoscenza. La loro scrittura si configura, infatti, come un'investigazione della dimensione esistenziale e percettiva infantile, messa in atto allo scopo di tradurla senza tradirla.
Entrambe, in questo modo, hanno scritto due libri molto belli: uno, quello di Dolores, monumentale: 688 pagine. L'altro, quello di Arianna, sottile: 104 pagine.
Uno s'intitola Giù la piazza non c'è nessuno, edito integralmente per la prima volta da Mondadori nel 1997, e ora ripubblicato da Quodlibet. L'altro, Les adieux, edito da Fandango nel 2007.

Ecco come comincia quello di Dolores: 
Sono nata sotto un tavolino. Mi ci ero nascosta perché il portone aveva sbattuto, dunque lo zio rientrava. Lo zio aveva detto: “Rimandala a sua madre, non vedi che ci muore in casa?”
Ambiente non c’era intorno, visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma rimandala sì, rimandala voleva dire mettila fuori della porta. Rimandala voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo.
Sedevo su mattoni. Molliche indurite mi si conficcavano nella pelle come sassolini. Quel primo pezzetto di mondo immagazzinato dalla mia memoria lo vedo come adesso vedo la mia mano che scrive. Mattoni regolari color crosta di pane, uno coricato, uno dritto, facevano un tessuto a spina. Come soffitto il rovescio della tavola attraverso stanghe di legno; le quattro gambe unite da assicelle su cui la gente metteva i piedi, è più consumata nel mezzo; l'intera impalcatura ammantata dal pesante tappeto: tutti colori notturni intramezzati da fili d'oro; foglie nere, fiori con parvenza di colori morti, case appuntite trapunte d'oro, nello scuro meno fondo apparivano facce di mori e luccichio d'occhi. Il primo fatto storico della mia vita, intreccio di paura e meraviglia, fu sotto quel tavolino.


Ecco un brano di quello di Arianna:
Dormire coi vecchi è controllare che il respiro non smetta, e odore di ginocchia.
Un cappello tiene giù buona la luce.
Dice la zia vecchia, dice la sorella-maschio alla sera, c'era una volta due sorelle, una rispondeva male una no. La prima andava sempre a lavare i panni in una foresta che mi figuro tutta blu di grilli. Alla fine una voce le diceva di non voltarsi, lei non si voltava, e arrivava a casa con una stella appiccicata in fronte.
Io immagino questa stella un tatuaggio che fa malissimo o un insieme di spilli d'oro che fa sanguinare ma sei bella. Una sera ci vuole andare la sorella arrogante, solo che nel bosco tentata dalla voce si gira, e si ritrova una coda d'asino in fronte. La storia con le code d'asino e stelle sanguinanti, di notte è bella, solo che bisogna essere ubbidienti per le stelle col sangue, e in più fanno male.


Sulla quarta di copertina di Les Adieux, si legge: «Sarebbe stato un mondo abbastanza normale.
 Ma in un angolo c’era quella bambina, che tutto guardava.»
Il lavoro che hanno fatto queste due scrittrici è prezioso: se hanno avuto il coraggio di guardare, noi oggi abbiamo la possibilità di vedere. Sì, proprio di vedere.
Leggetele. Entrambe. Ne vale la pena.

In questo video, Arianna legge e presenta il suo libro insieme ad Alessandro Baricco.


giovedì 9 dicembre 2010

Parigi, o cara

Fonte: http://www.splinder.com/mediablog/Ladridiortiche/media/7403830
Che freddo pazzesco faceva a Parigi in questi giorni!
Eravamo lì per il Salon du livre et de la presse jeunesse en Seine-Saint-Denis che frequentiamo ogni anno, un po' per vedere cosa fanno gli editori francesi, sempre bravi e interessanti, e un po' per gli appuntamenti necessari alla compravendita di diritti.
Al Salone, che si è tenuto dal primo al 6 dicembre, abbiamo dato un'occhiata solo il giorno d'apertura. Abbiamo visto alcune cose belle, altre molto belle, come il libro che ha vinto il Prix Baobab: La règle d'or du cache-cache di Christophe Honoré: notevoli le illustrazioni, testo splendido. Oppure il bellissimo, e senza parole, Diapason, dell'esordiente Laëtitia Devernay, edito da La Joie de Lire. Ci è piaciuta molto anche la nuova collezione Primo, proposta da Éditions MeMo.
L'elenco dei premiati dal Salon, lo leggete qui di seguito. Come al solito fra vinti e vincitori, qualche polemica. Ma i premi, si sa, sono fatti per essere contestati.

Baobab de l'Album 2010: La Règle d'or du cache-cache, testo di Christophe Honoré, illustrazioni di Gwen Le Gac, Actes Sud junior, 2010

Prix du premier album: Monsieur cent têtes, di Ghislaine Herbéra - Éditions MeMo, 2010

Prix Coup de cœur: Le Petit Gibert illustré, di Bruno Gibert - Albin Michel Jeunesse, 2010

Prix de la presse des jeunes: Des hommes dans la guerre d'Algérie, testi di Isabelle Bournier, illustrazioni, Jacques Ferrandez, Casterman, 2010

Prix «Terre en vue»: Petites et grandes histoires des animaux disparus, di Hélène Rajcak e Damien Laverdunt, Actes Sud Junior, 2010

Prix «à l'Abord'art»: La Petite Galerie de Andy Warhol, di Patricia Geis, Palette, 2010

La carrellata di immagini che vi proponiamo mostrano alcuni stand immortalati dalla macchina fotografica che ci ha prestato la nostra preziosa amica libraia Diletta Colombo (la nostra macchina è stata sempre, sistematicamente dimenticata in camera).

Diletta Colombo, libraia
Giulia Mirandola, genio enciclopedico
Les Grandes Personnes
 Editions MeMo

Paola e Luca Notari delle Editions Notari
Approfittando dell'occasione, abbiamo visitato anche mostre varie. Alcune al museo Quai Branly, posto strepitoso; altre al Beaubourg, come quella dedicata all'artista americana Nancy Spero.
Tutte le volte, ci stupiamo di come i bambini francesi, accompagnati da giovanissime, cortesissime ma ferme e autorevoli maestre, frequentino educatamente, silenziosamente, rispettosamente i musei.
Luoghi in cui tutti parlano a voce bassa, dicono “grazie” e “prego”, salutano, sorridono, si preoccupano di non essere un problema per il prossimo che accanto a loro è impegnato a guardare, riflettere, leggere.
Insomma, una dimensione, un mondo a cui ci stiamo lentamente, insesorabilmente disabituando...

L'interno dell'atelier Brancusi al Centre Pompidou (dal sito)
Una menzione speciale al meraviglioso Atelier Brancusi, che non avevamo mai visto... Sì, è così: ce ne vergognamo. Fa parte del Centre Pompidou, ed è la ricostruzione dell'atelier del grande scultore rumeno Constantin Brancusi. Quattro stanze che si possono osservare indefinitamente, la cui bellezza fa, alla lettera, venire i brividi.

mercoledì 8 dicembre 2010

Novembre: la prima volta di Internet

Dal punto di vista delle vendite, novembre ha rappresentato un punto di svolta quasi epocale: per la prima volta nella (nostra) storia, la libreria che ha venduto di più è una libreria virtuale.
E noi non sappiamo come prenderla. Da una parte ci dispiace, perché preferiamo i librai in carne e ossa alle batterie di server in ambiente controllato. Dall'altra ci fa molto piacere, perché significa che il nostro pubblico si va allargando al punto da rendere anche la rete un canale di vendita rilevante.
E voi che ci leggete, cosa ne pensate?
Dal punto di vista quantitativo, invece, il barometro è stazionario: fatto 100 il novembre 2009, nel mese scorso abbiamo venduto 107.
E a proposito di fatti nuovi: abbiamo ben due titoli della collana "Gli anni in tasca" fra i primi cinque. Ecco i nostri campioni nel mese, con il confronto con lo scorso anno.

Che cosa hanno venduto le librerie in novembre?
1) Gli uccelli  [100]

e un anno fa?
3) Quando sono nato [55]

Quali librerie hanno venduto di più in novembre?
1) Internet bookshop  - www [100]
2) La libreria dei ragazzi – Milano [83]
3) Centro Biblioteche Lovat – Treviso [81]
4) Castello di carta – Vignola (Mo) [58]
5) Libreria Feltrinelli - Modena [54]

e un anno fa?
1) La libreria dei ragazzi – Milano [100]
2) Castello di carta – Vignola (Mo) [87]
3) Viale dei Ciliegi 17 - Rimini  [81]
4) Internet bookshop – www [80]
5) Libreria Feltrinelli - Pescara [32]

Il numero fra parentesi è un numero indice che segnala la proporzione di vendite rispetto al valore più elevato rilevato, convenzionalmente fissato in 100.

martedì 7 dicembre 2010

A Natale, regala un topo


Volete regalare libri dei Topipittori, ma le vostre tasche sentono la crisi finanziaria globale?

Beh, allora quello che fa per voi è la grande vendita natalizia allestita dai Topipittori, che si terrà sabato 11 e domenica 12 dicembre, dalle ore 14 e 30 alle ore 19 e 30, presso l'atelier di Francesca Zoboli, in via Matera 5 a Milano. Via Matera è una parallela di via Ripamonti, ci si arriva comodi con il tram 24.
Citofonate: Zoboli - L'Odi Giotto.

Gli sconti sui libri vanno dal 20 al 30, al 40 per cento. In esposizione, ci sarà l'intero il catalogo: illustrati e narrativa, per bambini e ragazzi dai due anni in poi.

Per l'occasione, in vendita e in mostra, anche una selezione di opere di Francesca, che recentemente ha esposto alla mostra Oriente e occidente, presso Villa Necchi Campiglio.

Vi aspettiamo. Accorrete numerosissimi!

lunedì 6 dicembre 2010

Himalaya. Le chemin du ciel

Qualche tempo fa Giulia Mirandola ci ha scritto: “La mia regista del momento ce l'ha fatta, ha vinto il Trento Film Festival con il film di cui ti parlavo e di cui ti allego un'anteprima...”.
Il film era Himalaya le chemin du ciel; la regista, Marianne Chaud. Seguendo la sua indicazione, abbiamo guardato il trailer con quel bimbetto himalayano che mentre scende per la parete di una montagna innevata, scivolosa e verticale, spiega a chi lo sta intervistando che è necessario far diventare forte il proprio cuore: “Se pensi che non cadrai, non cadrai, tutta l'umanità deve far diventare forte il proprio cuore.” Che se lo si sente affermare da uno in poltrona a casa sua, si può anche dubitare, ma detto da chi a ogni istante corre il rischio di precipitare nel vuoto e invece non precipita, ma scende a passi leggeri e sicuri, fa davvero tutt'altro effetto.
Auguriamoci che presto questa pellicola arrivi nelle sale di tutta Italia.



Post Scriptum
Giulia firma una bella recensione di questo film, nell'ultimo numero di Hamelin.

domenica 5 dicembre 2010

Viorel Boldis a Bologna

Ci commuove l'accoglienza e l'interesse che sta ricevendo Il fazzoletto bianco. Il numero di novembre del mensile "Andersen" (sempre attento e prezioso nel segnalare le novità e approfondire i temi più pressenti della contemporaneità: abbonatevi!), gli ha dedicato due belle pagine, firmate da Lorenzo Luatti. E il sito Mangialibri, qualche giorno fa, ha mandato online una recensione di Maria Ferragatta, di cui riportiamo qualche riga:

C’era una volta un ragazzo povero che un giorno decise di andare a cercare fortuna. Di regola nelle favole il protagonista giramondo la fortuna la trova davvero e rientra al suo paesello ricco sfondato. Quella di Viorel Boldis invece non è una favola e in Occidente il suo ragazzo avventuroso incontra solo la grama realtà degli immigrati. ... La sua, infatti, è una variante attualizzata della parabola del figliol prodigo, rivisitata in un racconto asciutto e poetico con un finale pieno di pathos. Un centinaio di righe in tutto, più che sufficienti però a far capire ai lettori più giovani la condizione dei migranti, le loro speranze e le loro delusioni. A commento del testo, le tavole nero su bianco di Antonella Toffolo - illustratrice di una bella edizione del Pifferaio di Hamelin - che evocano con tratti spigolosi e guizzanti le corse, i giochi, la fuga, il viaggio. Quadri essenziali ed espressivi in cui la spensieratezza dell’infanzia, la voglia di crescere, la nostalgia del passato compongono le tappe di un cammino che porta alla riscoperta delle proprie radici. Per tutti i dreamers dell’altrove che sognano di scappare lontano. E poi decidono di tornare. 

Segnaliamo che mercoledì, 8 dicembre, a Bologna, alla  Libreria Irnerio, in via Irnerio 27, alle ore 11, Viorel Boldis presenterà e leggerà il libro, insieme a Rita Monticelli, docente di Lingue e Letterature Straniere Moderne dell'Università di Bologna, e a Fulvio Pezzarossa, docente di sociologia della letteratura all’Università di Bologna e fondatore della rivista "Scritture Migranti".
 

venerdì 3 dicembre 2010

L'infanzia di Maria

Per la nostra edizione de I cigni selvatici, di Hans Christian Andersen, con illustrazioni di Joanna Concejo, abbiamo potuto contare su una traduttrice d'eccezione: Maria Giacobbe.
Abbiamo conosciuto i libri di questa scrittrice, un'estate, durante una vacanza in Sardegna, sua terra d'origine. In una libreria ci imbattemmo in  Il diario di una maestrina (Il Maestrale, 2003) in cui la Giacobbe ripercorre le tappe della sua storia personale, di bambina e adolescente, in una famiglia colta, borghese e antifascista, durante il ventennio, quindi la scelta di diventare maestra e le prime esperienze di insegnamento in una Sardegna poverissima, legata a una cultura arcaica e in una situazione di grave emergenza economico-sociale. Un libro bellissimo che, nel 1957, quando uscì, ebbe molta risonanza e vinse numerosi premi. Un libro che ha molto ancora da dire, anche in relazione al rapporto fra ragazzi e insegnanti, scuola e società, didattica e cultura d'appartenenza.
Il tema della propria infanzia Maria Giacobbe lo approfondisce anche in una altro libro, Maschere e angeli nudi. Ritratto di un'infanzia  (Il Maestrale, 1999), davvero straordinario per la capacità di penetrare la dimensione infantile, restituendone la complessità, la difficoltà, lo spessore, la ricchezza immaginativa e intellettuale, il suo porsi come condizione “aliena”, fuori da qualsiasi schema, convenzione, cliché (sarebbe stato un bellissimo Anni in tasca...).
Le pagine che varrebbe la pena di estrapolare, per dare un saggio della qualità del libro, scritto in una lingua scarna, severa e insieme immaginifica, sono numerosissime. La scelta è ardua.
Ci siamo decisi per quelle che danno l'avvio al capitolo “Malaria”. Ringraziamo Maria Giacobbe e le edizioni Il Maestrale per averci data la possibilità di pubblicarle.
Da molti anni Maria Giacobbe vive in Danimarca, paese di cui conosce perfettamente la lingua. Quando ci si è posto il problema della traduzione de I cigni selvatici, ci siamo detti che nessuno avrebbe assolto meglio di lei il compito di restituire ai bambini la meraviglia di questa fiaba. Maria ha accolto la nostra proposta con interesse, disponibilità, curiosità, prestandosi generosamente alla prova. Per giudicare il risultato, però, dovrete aspettare il 15 febbraio 2011.

    Come la scuola, la morte, le campane, il fascismo, anche la febbre, la malaria, il chinino facevano dunque parte della vita. Della vita quotidiana. Normale.
    Come il vento che gridava dietro le imposte con la voce dei morti che premevano per tornare negli spazi che erano stati loro e che noi, i vivi, indebitamente gli contendevamo, occupandoli.
    Come la notte senza luce, senza sonno e con tanti ululati di cani fantasmi che s'incrociavano nel buio.
    Come l'inverno, la pioggia, le blatte, il freddo, la polizia, l'esattore delle imposte, il collettore del comune, certi adulti che non mi piacevano o che mi facevano paura, certe bambine che ero obbligata a frequentare e mi annoiavano, certi angeli spioni che forse c'erano forse non c'erano ma che in ogni caso disturbavano, come le macchie repulsive di salsa e vino sulla tovaglia, le file di escrementi e di immondizie in certi vicoli che ero costretta a percorrere, e tante altre cose ripugnanti o fastidiose che per qualche infernale motivo esistevano ed ero costretta ad accettare come inevitabili.

    Sinché c'erano. E ogni volta che si ripresentavano. La febbre. La malaria. Il chinino. Erano spiacevoli. E anche molto. Molto spiacevoli. Ma non bisognava esagerare. Non bisognava mai esagerare. Se possibile. Quando era possibile. Questo l'avevo imparato. Non bisognava mai esagerare.

Gustave Doré, "La Divina Commedia", Inferno, Canto V
    La febbre, quando finalmente arrivava, era quasi gradevole e liberatoria. Affondavo in essa come in un nido caldo, dopo la tempesta di freddo furioso che l'aveva preceduta.

    Ai primi brividi lunghi che partivano dalla nuca e scendevano per la spina dorsale, invadendo petto e visceri, ne seguivano altri sempre più frequenti e caotici che partivano contemporaneamente da ogni zona e fibra del corpo scuotendolo e gettandolo in ogni direzione allo stesso tempo, minandone ogni connessione e cardine.


    Il corpo era un'accozzaglia disordinata di ossicini che tendevano a disgregarsi sotto spinte e attrazioni contrastanti, in preda a forze centrifughe e centripete che si combattevano nell'intento di smembrarlo e disperderlo ai quattro venti.
    Un intersecarsi disordinato e rapidissimo di correnti gelide vi si combattevano, contendendoselo, tirandolo, abbandonandolo, gettandolo da altezze vertiginose in abissi bianchi e profondissimi dai quali altre correnti irresistibili lo facevano emergere, separandolo dal cuore.
    Che restava duro, nero, solitario, in un luogo lontano, isolato, dove il suo battito era come una pesante campana il cui tocco arrivava grigio e sordo attraverso la bufera.
    Insieme al dolore fisico, alla nausea, ai conati di vomito, ma ancora più terribile, c'era la certezza panica che ciò non avrebbe mai avuto termine. Che quella lotta cosmica fra gli elementi che si scontravano nel mio corpo sarebbe durata per sempre. Non c'era più in tutto l'universo un solo punto fermo nel quale almeno per un momento il corpo potesse trovare rifugio e riposo.


William Blake, "La Divina Commedia", Inferno, Canto V
    Un giorno, in una edizione della Divina Commedia illustrata dal Doré, che arrivava in fascicoli in casa di nonna, avevo visto un disegno che rappresentava un vortice di corpi umani distorti e torturati da un vento che li trascinava come foglie aspirate e sbattute da un gigantesco mulinello. Compitai il verso che, tra due virgolette e con tre puntini da ogni parte, ne faceva da didascalia: “la bufera infernal che mai non resta”, e subito ebbi la certezza che era lì, nella “bufera infernal che mai non resta” che mi trovavo duranti i miei accessi di malaria.